Un italiano su due per le cure va fuori regione e sceglie il regime privato: la sanità pubblica va a pezzi
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Un italiano su due per le cure va fuori regione e sceglie il regime privato: la sanità pubblica va a pezzi (ildemocratico.com / pexels)
Allarme sanità pubblica: liste d’attesa infinite, gli italiani si affidano al regime privato
Non c’è pace per la sanità pubblica italiana, da sempre fiore all’occhiello di quanti la esaltano come uno dei motivi per cui vale la pena vivere in questo bel paese: di fatto, questa consente a ogni cittadino di godere gratuitamente delle cure e della presenza di un medico di famiglia, nonché di sottoporsi ad esami e visite specialistiche a prezzi contenuti, pagando solamente il ticket sanitario.
Negli ultimi anni, infatti, le liste d’attesa per le visite e gli esami da svolgere con il Servizio Sanitario Nazionale sono infatti diventate lunghissime e questo ha portato molti italiani ad affidarsi alla sanità privata che, sebbene decisamente più costosa, offre tempi nettamente più brevi.
Gestita da 20 diversi sistemi regionali, spesso non adeguati alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza ai cittadini, la sanità pubblica è quindi in netta crisi: la migrazione sanitaria, della quale dà un triste report anche l’ultimo documento della Fondazione Gimbe, ne è una prova.
Allarme migrazione sanitaria: gli italiani per curarsi si spostano
Il report della Fondazione Gimbe parla chiaro: se nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale coinvolgeva circa 4.25 miliardi di euro, solo un anno dopo la cifra è salita del 18,6%, stabilendosi nel 2022 a 5.04 miliardi di euro. Il flusso, inoltre, è praticamente solo monodirezionale da Sud verso Nord: solo Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia raccolgono in tre regioni il 94.1% del saldo attivo della mobilità sanitaria.
Questa altro non è che la differenza tra le risorse ricevute per la cura dei pazienti provenienti da altre regioni e quelle invece investite per i propri cittadini che si sono spostati altrove. A rappresentare il 78,8% del saldo passivo, invece, la Calabria, l’Abruzzo, il Lazio, la Puglia, la Campania e la Sicilia. “La mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali” commenta Nino Cartabellotta, presidente del Gimbe.
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Migrare come obbligo sanitario
Secondo lo studio del Gimbe, emerge che i cittadini che abitano soprattutto nelle regioni del sud Italia sono di fatto “costretti” ad andare al Nord per sottoporsi ad alcuni esami e visite specialistiche, che svolgono quindi in regime privato. Anche all’interno delle regioni del Nord stesse, però, c’è una grande mobilità: i cittadini si spostano infatti frequentemente alla ricerca di strutture più disponibili in città diverse dalla loro, così come si direzionano verso regioni limitrofe soprattutto tra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.